Seneca: "De vita beata"
Dialoghi, 58 d.C.
In esso, nella prima parte, Seneca si chiede in che cosa
consista la vera felicità, per distinguerla da quella falsa che è comunemente
cercata. Arriva alla conclusione che, secondo la concezione stoica, consiste
nella virtù. Polemizza con l'epicureismo secondo il quale il sommo bene
s'identifica con il piacere.
Nella seconda parte è in polemica con la folla che critica i
filosofi accusandoli d'incoerenza tra il loro insegnamento e il loro
comportamento, come possedere ricchezze, ricercare la fama, e condurre un
tenore di vita assai dispendioso.
Seneca replica che in realtà il saggio non debba disprezzare
le ricchezze al fine di non averle, ma al fine di averle senza farsene
un'angoscia.
« [...] Perché dunque tu parli più fortemente di come vivi? Perché umili le parole davanti a un superiore e pensi che il denaro sia per te strumento necessario e sei turbato da un danno e versi lacrime udita la morte della moglie o d’un amico e hai riguardo alla tua fama e ti risenti dei discorsi maligni? Perché hai una campagna più curata di quanto il bisogno naturale richieda? Perché non ceni secondo le tue regole? Perché a casa tua si beve vino più antico della tua età? Perché gli oggetti d’oro sono esposti? Perché si piantano alberi che non daranno altro che ombra? Perché tua moglie porta alle orecchie un censo maggiore d’una ricca casa? Perché i paggi indossano vesti preziose? Perché è un’arte da te servire a tavola e gli argenti non si mettono come capita o va, ma si dispongono accuratamente, e c’è un esperto a tagliare le vivande? Perché possiedi oltremare? Perché più terre di quante conosci? [...] »
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